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Un mistero che ancora oggi ci lascia senza risposte, un omertà che sembra essere sempre più solida. Scomparso il giudice Paolo Adinolfi, trent'anni fa, senza aver lasciato tracce dietro di sé. Anche se tutti sappiamo che c'è stato qualcosa, la verità è stata spesso travolta, ricordata solo per scroscio di pietre sulle finestre della casa in cui lavorava.
E adesso gli scavi alla Casa del Jazz, in una villa che un tempo era la residenza di Enrico Nicoletti, cassiere della Banda della Magliana. C'è stato il sospetto che Adinolfi potesse essere sepolto lì, ma ormai è tempo di cercare l'accesso alla galleria "tombata", chiusa circa trent'anni fa.
Ma non è questo solo il mistero che ci affascina. È la storia della figlia del giudice, Giovanna Adinolfi, una donna che ha perso suo padre e che pure è sempre stata a lungo con l'animo in cerca di verità. "Io non so cosa sia successo a mio padre", dice ella ancora, senza esitazione. Ma c'è un sospetto profondo dentro di lei: che c'entri la rettitudine e l'estrema serietà del suo lavoro.
E la sera in cui Adinolfi sparì, il giudice aveva già parlato della presenza della camorra a Roma. Ma forse il pericolo era solo una costruzione mentale, un modo per evitare di dire ciò che sapeva. "Mio padre aveva l'obiettivo di 'svuotare gli armadi'", ricorda Giovanna, riferendosi all'inchiesta sulla società Fiscom, fallita nel 1992.
La verità è stata ancora una volta travolta, e adesso c'è un punto sopra le gallerie in cui sono in corso i ritrovamenti dei resti del giudice. Ma forse è ancora troppo tardi per trovare l'accesso alla "tombata".
E adesso gli scavi alla Casa del Jazz, in una villa che un tempo era la residenza di Enrico Nicoletti, cassiere della Banda della Magliana. C'è stato il sospetto che Adinolfi potesse essere sepolto lì, ma ormai è tempo di cercare l'accesso alla galleria "tombata", chiusa circa trent'anni fa.
Ma non è questo solo il mistero che ci affascina. È la storia della figlia del giudice, Giovanna Adinolfi, una donna che ha perso suo padre e che pure è sempre stata a lungo con l'animo in cerca di verità. "Io non so cosa sia successo a mio padre", dice ella ancora, senza esitazione. Ma c'è un sospetto profondo dentro di lei: che c'entri la rettitudine e l'estrema serietà del suo lavoro.
E la sera in cui Adinolfi sparì, il giudice aveva già parlato della presenza della camorra a Roma. Ma forse il pericolo era solo una costruzione mentale, un modo per evitare di dire ciò che sapeva. "Mio padre aveva l'obiettivo di 'svuotare gli armadi'", ricorda Giovanna, riferendosi all'inchiesta sulla società Fiscom, fallita nel 1992.
La verità è stata ancora una volta travolta, e adesso c'è un punto sopra le gallerie in cui sono in corso i ritrovamenti dei resti del giudice. Ma forse è ancora troppo tardi per trovare l'accesso alla "tombata".