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"La giustizia tributaria: una commistione che non deve essere tollerata"
Il nostro stato di diritto e la nostra democrazia devono essere al centro di ogni riflessione sulla giustizia tributaria. E' vergognoso che, ancora oggi, i pubblici ministeri svolgano doppio ruolo: come inquirenti e giudicanti. Questo fenomeno si è consolidato negli ultimi decenni, soprattutto con l'arrivo della "Mani pulite" nel 1992.
Il problema di fondo è la commistione delle carriere tra i pm che indagano e quelli che giudicano. Nonostante la riforma del 2022, non si sono ancora formate le magistrature tributarie professionali e per concorso, lasciando spazio all'inquietante possibilità di commistione.
Un cittadino italiano che viene sottoposto a una procedura tributaria deve sentirsi davvero sicuro di poter contare su un giudice imparziale? E se il proprio avversario processuale è anche il pagatore del giudice? Non è forse questo un caso di equo processo, ma non necessariamente di giusto processo.
La Costituzione italiana e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo stabiliscono che il giusto processo debba essere regolato dalla legge, mentre l'equo processo deve garantire la parità di trattamento tra le parti. Ma cosa significa in pratica? Per i pm che indagano e quelli che giudicano, significa dedicare tempo ed energie solo a un unico compito: quello di decidere sulla questione tributaria.
La separazione delle carriere è necessaria, ma non basta: dobbiamo anche avere il divieto di commistione. Ecco perché gli esempi del magistrati che lavorano nel potere esecutivo o come consulenti per i Ministeri sono particolarmente significativi.
La nostra giustizia tributaria deve essere più trasparente e imparziale. Non possiamo permetterci di tollerare una commistione che compromette l'autonomia del giudice e la parità tra le parti. È il momento di cambiare, di passare da una situazione di "equo processo" a un sistema più giusto e equo per tutti gli italiani.
Il nostro stato di diritto e la nostra democrazia devono essere al centro di ogni riflessione sulla giustizia tributaria. E' vergognoso che, ancora oggi, i pubblici ministeri svolgano doppio ruolo: come inquirenti e giudicanti. Questo fenomeno si è consolidato negli ultimi decenni, soprattutto con l'arrivo della "Mani pulite" nel 1992.
Il problema di fondo è la commistione delle carriere tra i pm che indagano e quelli che giudicano. Nonostante la riforma del 2022, non si sono ancora formate le magistrature tributarie professionali e per concorso, lasciando spazio all'inquietante possibilità di commistione.
Un cittadino italiano che viene sottoposto a una procedura tributaria deve sentirsi davvero sicuro di poter contare su un giudice imparziale? E se il proprio avversario processuale è anche il pagatore del giudice? Non è forse questo un caso di equo processo, ma non necessariamente di giusto processo.
La Costituzione italiana e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo stabiliscono che il giusto processo debba essere regolato dalla legge, mentre l'equo processo deve garantire la parità di trattamento tra le parti. Ma cosa significa in pratica? Per i pm che indagano e quelli che giudicano, significa dedicare tempo ed energie solo a un unico compito: quello di decidere sulla questione tributaria.
La separazione delle carriere è necessaria, ma non basta: dobbiamo anche avere il divieto di commistione. Ecco perché gli esempi del magistrati che lavorano nel potere esecutivo o come consulenti per i Ministeri sono particolarmente significativi.
La nostra giustizia tributaria deve essere più trasparente e imparziale. Non possiamo permetterci di tollerare una commistione che compromette l'autonomia del giudice e la parità tra le parti. È il momento di cambiare, di passare da una situazione di "equo processo" a un sistema più giusto e equo per tutti gli italiani.