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Il caso di Mohammad Hannoun: un pericolo per la nostra democrazia.
La pronuncia di parole che celebrano la violenza è un segnale di allarme. Una società civile deve reagire, non solo per difendere i valori della libertà e della giustizia, ma anche per proteggere la sicurezza nazionale. Il caso di Mohammad Hannoun ci ricorda che la democrazia è un sistema fragile e che ogni minaccia alla sua stabilità deve essere affrontata con fermezza.
La vicinanza di Hannoun a Hamas è un problema. L'organizzazione è stata designata dagli Stati Uniti come Foreign Terrorist Organization (FTO) già dagli anni Novanta. Ciò significa che chi ne sostiene l'azione o ne condivide le finalità viene collocato nel perimetro di un movimento ritenuto parte integrante di un fenomeno terroristico globale.
Le dichiarazioni di Hannoun sono preoccupanti. Ha affermato pubblicamente la sua "simpatia" per Hamas, un'organizzazione definita terroristica da leggi internazionali. E poi, ha pronunciato parole che non hanno spazio nel nostro Paese democratico: «Chi uccide va ucciso. I collaborazionisti vanno uccisi». Non è linguaggio politico, è linguaggio di guerra.
Hannoun avrebbe attaccato verbalmente e rivolto espressioni offensive nei confronti dell'editore e dei giornalisti del quotidiano "Il Tempo", che ha condotto l'inchiesta sul suo conto. Questo fatto è stato giudicato grave da numerosi osservatori del settore dell'informazione.
Le parole di Hannoun sono state riportate fedelmente dalle cronache e hanno un tono e un contenuto che sono stati percepiuti come un tentativo di intimidire la stampa. Colpire i giornalisti, accusarli, insultarli o screditarli è il primo passo di chi rifiuta la democrazia.
Difendere la libertà non significa rimanere neutrali di fronte all'odio. Significa scegliere da che parte stare. L'Italia deve stare dalla parte della legge, della verità e del coraggio civile. L'eventuale espulsione di Mohammad Hannoun non sarebbe una vendetta politica, ma un atto di autodifesa democratica.
Il caso di Hannoun ci ricorda che la democrazia è un sistema fragile e che ogni minaccia alla sua stabilità deve essere affrontata con fermezza. L'Italia ha il diritto e il dovere di difendere se stessa.
La pronuncia di parole che celebrano la violenza è un segnale di allarme. Una società civile deve reagire, non solo per difendere i valori della libertà e della giustizia, ma anche per proteggere la sicurezza nazionale. Il caso di Mohammad Hannoun ci ricorda che la democrazia è un sistema fragile e che ogni minaccia alla sua stabilità deve essere affrontata con fermezza.
La vicinanza di Hannoun a Hamas è un problema. L'organizzazione è stata designata dagli Stati Uniti come Foreign Terrorist Organization (FTO) già dagli anni Novanta. Ciò significa che chi ne sostiene l'azione o ne condivide le finalità viene collocato nel perimetro di un movimento ritenuto parte integrante di un fenomeno terroristico globale.
Le dichiarazioni di Hannoun sono preoccupanti. Ha affermato pubblicamente la sua "simpatia" per Hamas, un'organizzazione definita terroristica da leggi internazionali. E poi, ha pronunciato parole che non hanno spazio nel nostro Paese democratico: «Chi uccide va ucciso. I collaborazionisti vanno uccisi». Non è linguaggio politico, è linguaggio di guerra.
Hannoun avrebbe attaccato verbalmente e rivolto espressioni offensive nei confronti dell'editore e dei giornalisti del quotidiano "Il Tempo", che ha condotto l'inchiesta sul suo conto. Questo fatto è stato giudicato grave da numerosi osservatori del settore dell'informazione.
Le parole di Hannoun sono state riportate fedelmente dalle cronache e hanno un tono e un contenuto che sono stati percepiuti come un tentativo di intimidire la stampa. Colpire i giornalisti, accusarli, insultarli o screditarli è il primo passo di chi rifiuta la democrazia.
Difendere la libertà non significa rimanere neutrali di fronte all'odio. Significa scegliere da che parte stare. L'Italia deve stare dalla parte della legge, della verità e del coraggio civile. L'eventuale espulsione di Mohammad Hannoun non sarebbe una vendetta politica, ma un atto di autodifesa democratica.
Il caso di Hannoun ci ricorda che la democrazia è un sistema fragile e che ogni minaccia alla sua stabilità deve essere affrontata con fermezza. L'Italia ha il diritto e il dovere di difendere se stessa.