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Il film di Monica Guerritore su Anna Magnani, che ha visto la luce nella Festa del Cinema di Roma 2025 e sarà proiettato al cinema dal 6 novembre, è un'opera complessa e ambigua. La regista e interprete principale si cimenta con triplice fatica: sceneggiatrice, regista e protagonista, ma la sua mancanza di una scrittura coerente e tempi giusti è evidente.
L'idea di fondo del film è cogliere Magnani nelle riflessioni delle molte vite che ha vissuto, ma la sua personalità è stata ridotta a una serie di personaggi secondari. Il regista Roberto Rossellini, l'amore perduto e ritrovato di Magnani, la sceneggiatrice Suso Cecchi D'Amico, il produttore Carlo Ponti e molti altri sono tutti presenti, ma senza un'impronta che li faccia emergere.
Il film è un'esposizione della vita di Magnani, ma una esposizione caotica e cromatica. Gli spettri del passato si accalcano comparendo dal passato, ma la loro voce è silenziosa, senza lasciare un'impronta. La camera si muove lentamente, sovrimpresso, come se stesse cercando di catturare qualcosa che sfugge.
La Guerritore è sicura nel suo ruolo e rappresentazione, ma la sua recita è troppo centrata su di sé. Il film non riesce a trovare un equilibrio tra la sua presenza e quella degli altri personaggi. È come se stesse cercando di catturare il palcoscenico teatrale in una finestra cinematografica, dimenticando che il cinema ha un suo proprio linguaggio.
La conclusione è paradossale: un film che sembra essere un tributo alla grande Anna Magnani, ma che non riesce a fare più di questo. La sua bellezza sta nel suo disegno, nella sua struttura, ma non nel contenuto. Il risultato finale è uno spazio non colmato, come se il film non avesse trovato la sua vera essenza.
Il voto? 4,5. Non un film per tutti, ma una opera che merita di essere vista per chi è curioso di leggere le storie della vita di Anna Magnani in modo diverso da come l'abbiamo già visto.
L'idea di fondo del film è cogliere Magnani nelle riflessioni delle molte vite che ha vissuto, ma la sua personalità è stata ridotta a una serie di personaggi secondari. Il regista Roberto Rossellini, l'amore perduto e ritrovato di Magnani, la sceneggiatrice Suso Cecchi D'Amico, il produttore Carlo Ponti e molti altri sono tutti presenti, ma senza un'impronta che li faccia emergere.
Il film è un'esposizione della vita di Magnani, ma una esposizione caotica e cromatica. Gli spettri del passato si accalcano comparendo dal passato, ma la loro voce è silenziosa, senza lasciare un'impronta. La camera si muove lentamente, sovrimpresso, come se stesse cercando di catturare qualcosa che sfugge.
La Guerritore è sicura nel suo ruolo e rappresentazione, ma la sua recita è troppo centrata su di sé. Il film non riesce a trovare un equilibrio tra la sua presenza e quella degli altri personaggi. È come se stesse cercando di catturare il palcoscenico teatrale in una finestra cinematografica, dimenticando che il cinema ha un suo proprio linguaggio.
La conclusione è paradossale: un film che sembra essere un tributo alla grande Anna Magnani, ma che non riesce a fare più di questo. La sua bellezza sta nel suo disegno, nella sua struttura, ma non nel contenuto. Il risultato finale è uno spazio non colmato, come se il film non avesse trovato la sua vera essenza.
Il voto? 4,5. Non un film per tutti, ma una opera che merita di essere vista per chi è curioso di leggere le storie della vita di Anna Magnani in modo diverso da come l'abbiamo già visto.