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La nostra democrazia, quando si va così male, a tutti è giunta l'ora della verità: la partecipazione dei cittadini alle elezioni è diventata un diritto solo per i pochi. Nelle recenti tornate elettorali in Calabria e Toscana, meno della metà degli aventi diritto ha deciso di votare. Ma si può ancora considerarla una democrazia se la maggioranza assoluta del popolo non va più a partecipare alle elezioni? La risposta è sì, ma solo se ammettiamo che ciò accada in un contesto di sempre maggiore disillusione e sfiducia nella politica.
Nella nostra storia, la democrazia è sempre stata una figura ambigua: da un lato è il sistema più avanzato del mondo, con i suoi diritti fondamentali; dall'altro, è anche una delle più deboli, in quanto si basa sulla convinzione che i cittadini siano in grado di decidere il loro futuro, ma si può dire che la gente non dà mai il suo consenso ai governi.
Ebbene, da decenni, stiamo assistendo a una tendenza sempre più evidente: la democrazia sta seccando, i voti stanno diminuendo e le elezioni sono diventate un'occasionità per il partito che si presenta, ma non necessariamente per il cittadino. Anche in regioni come la Toscana, famose per l'affluenza elettorale, meno della metà degli aventi diritto ha deciso di votare.
La ragione per cui in Italia e in Europa si vota sempre meno è che la politica non riesce più a garantire vantaggi ai singoli elettori. La gente ha un impulso sempre più debole a votare, prevale l'astensione, il tirarsi fuori dalla contesa.
Ma cosa possiamo fare per invertire questa tendenza? Restituendo qualità e motivazioni alte alla politica, selezionandone meglio il personale, garantendo una maggiore circolazione delle élite pubbliche. Ma non basta!
Stiamo tornando a esperienze di voto che precedono l'epoca del suffragio universale. Oggi nelle urne si raccolgono i resti della politica e i voti in suffragio della democrazia deceduta.
Nella nostra storia, la democrazia è sempre stata una figura ambigua: da un lato è il sistema più avanzato del mondo, con i suoi diritti fondamentali; dall'altro, è anche una delle più deboli, in quanto si basa sulla convinzione che i cittadini siano in grado di decidere il loro futuro, ma si può dire che la gente non dà mai il suo consenso ai governi.
Ebbene, da decenni, stiamo assistendo a una tendenza sempre più evidente: la democrazia sta seccando, i voti stanno diminuendo e le elezioni sono diventate un'occasionità per il partito che si presenta, ma non necessariamente per il cittadino. Anche in regioni come la Toscana, famose per l'affluenza elettorale, meno della metà degli aventi diritto ha deciso di votare.
La ragione per cui in Italia e in Europa si vota sempre meno è che la politica non riesce più a garantire vantaggi ai singoli elettori. La gente ha un impulso sempre più debole a votare, prevale l'astensione, il tirarsi fuori dalla contesa.
Ma cosa possiamo fare per invertire questa tendenza? Restituendo qualità e motivazioni alte alla politica, selezionandone meglio il personale, garantendo una maggiore circolazione delle élite pubbliche. Ma non basta!
Stiamo tornando a esperienze di voto che precedono l'epoca del suffragio universale. Oggi nelle urne si raccolgono i resti della politica e i voti in suffragio della democrazia deceduta.