Un esercito in cui il terrore diventa disciplina: i soldati russi che si rifiutavano di combattere venivano uccisi, torturati o mandati in missione suicida.
La verità sulla guerra in Ucraina è sempre più spiazzante. Ieri era parlato della guerra per un po' d'acqua in Arabia Saudita, oggi si parla di un esercito russo che uccide i propri soldati che non vogliono combattere. Sì, avete letto bene: l'esercito russo che, nel momento in cui sono coinvolti in combattimento, decide di eliminare le vittime con una buona dose di paura e violenza.
Secondo un'inchiesta indipendente, condotta da Verstka, una testata formata da giornalisti russi in esilio, 101 superiori sarebbero stati accusati di aver partecipato al cosiddetto "azzzeramento" dei soldati ribelli o disobbedienti. I metodi utilizzati sarebbero diversi e inquietanti: esecuzioni sommarie, torture prolungate, missioni suicide senza armi o protezioni.
Una cultura di violenza interna è stata messa alla luce dalla stessa inchiesta, nella quale le vittime sarebbero state sottoposte a queste pratiche per punire il rifiuto di combattere. La maggior parte dei presunti responsabili sono comandanti di vari gradi. Ecco che emergerà uno scarto enorme: una disciplina mantenuta con la paura e la violenza, dove molti ufficiali continuano a operare senza rischi legali nonostante le prove raccolte.
Le testimonianze raccoglie l'immagine di combattimenti forzati tra soldati in stile gladiatorio, come punizione per disobbedienza.
La questione è che, se la pratica si sarebbe diffusa anche nelle unità regolari, c'è un divieto informale di indagare sui comandanti in servizio nei fronti di combattimento, per evitare di "ostacolare le operazioni militari". In pratica questo significa che molti ufficiali coinvolti rimangono impuniti.
Il quadro che emerge è quello di un esercito in cui la disciplina è spesso mantenuta con la paura e la violenza interna, dove i soldati che non vogliono combattere vengono eliminati con una buona dose di terrore.
La verità sulla guerra in Ucraina è sempre più spiazzante. Ieri era parlato della guerra per un po' d'acqua in Arabia Saudita, oggi si parla di un esercito russo che uccide i propri soldati che non vogliono combattere. Sì, avete letto bene: l'esercito russo che, nel momento in cui sono coinvolti in combattimento, decide di eliminare le vittime con una buona dose di paura e violenza.
Secondo un'inchiesta indipendente, condotta da Verstka, una testata formata da giornalisti russi in esilio, 101 superiori sarebbero stati accusati di aver partecipato al cosiddetto "azzzeramento" dei soldati ribelli o disobbedienti. I metodi utilizzati sarebbero diversi e inquietanti: esecuzioni sommarie, torture prolungate, missioni suicide senza armi o protezioni.
Una cultura di violenza interna è stata messa alla luce dalla stessa inchiesta, nella quale le vittime sarebbero state sottoposte a queste pratiche per punire il rifiuto di combattere. La maggior parte dei presunti responsabili sono comandanti di vari gradi. Ecco che emergerà uno scarto enorme: una disciplina mantenuta con la paura e la violenza, dove molti ufficiali continuano a operare senza rischi legali nonostante le prove raccolte.
Le testimonianze raccoglie l'immagine di combattimenti forzati tra soldati in stile gladiatorio, come punizione per disobbedienza.
La questione è che, se la pratica si sarebbe diffusa anche nelle unità regolari, c'è un divieto informale di indagare sui comandanti in servizio nei fronti di combattimento, per evitare di "ostacolare le operazioni militari". In pratica questo significa che molti ufficiali coinvolti rimangono impuniti.
Il quadro che emerge è quello di un esercito in cui la disciplina è spesso mantenuta con la paura e la violenza interna, dove i soldati che non vogliono combattere vengono eliminati con una buona dose di terrore.