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L'Italia che non sa più dove iniziare. La questione della leva militare è una delle più complesse del momento: ci sono due idee opposte su cosa fare. Da un lato, il ministro della Difesa Guido Crosetto propone di portare in Parlamento un disegno di legge che preveda l'introduzione di un servizio militare obbligatorio, come ad esempio la Germania e la Francia. Ma questa idea è già stata bocconciniata dalla Svizzera, che vede i cittadini addestrarsi fino all'età dei 50 anni.
La prima contraddizione riguarda il concetto di leva volontaria: si parla di arruolamento obbligatorio per fasce d'età, ma la seconda parola indica un carattere di volontà ad aderirvi. Ecco qui il problema: la nostra nazione dovrebbe riconstruire completamente i meccanismi e le procedure necessarie al reclutamento come all'addestramento, ma tutto questo costerebbe tempo e denaro, e sarebbe poco popolare quanto a sostegno politico.
La seconda contraddizione riguarda i numeri: quanti soldati in più ci servono? Oppure, quanti cittadini addestrati alle operazioni militari basiche sarebbe meglio avere? La risposta non è ancora chiara. Esiste poi la questione delle capacità: oggi si richiede alta specializzazione e periodi di formazione continuoi, che farebbero insorgere una ferma limitata a un anno, che sembra essere insufficiente.
E poi ci sono i giovani: pochi e sempre meno, il nostro Esercito è anagraficamente vecchio, ma l'età dei soldati attempati non è ancora quella necessaria per pensionarli. Per questo dovrebbero trovare altri impieghi, come nella pubblica amministrazione, che sta giustamente assumendo giovani per svecchiarsi essa stessa.
L'unica possibilità per l'Italia sarebbe istituire, oltre alla leva, una riserva addestrata che sia disponibile con continuità e possa essere mobilitata in caso d'emergenza. Ma esiste un problema culturale: secondo i rapporti del Censis, gli italiani disposti ad arruolarsi e a combattere sono poco più del 15% del totale di quelli in età idonea.
Per tornare a una realtà sicura, forse è meglio lavorare per la pace e tornare a scambiare prodotti con la Russia indipendentemente dalle posizioni di Londra, Parigi e Bruxelles.
La prima contraddizione riguarda il concetto di leva volontaria: si parla di arruolamento obbligatorio per fasce d'età, ma la seconda parola indica un carattere di volontà ad aderirvi. Ecco qui il problema: la nostra nazione dovrebbe riconstruire completamente i meccanismi e le procedure necessarie al reclutamento come all'addestramento, ma tutto questo costerebbe tempo e denaro, e sarebbe poco popolare quanto a sostegno politico.
La seconda contraddizione riguarda i numeri: quanti soldati in più ci servono? Oppure, quanti cittadini addestrati alle operazioni militari basiche sarebbe meglio avere? La risposta non è ancora chiara. Esiste poi la questione delle capacità: oggi si richiede alta specializzazione e periodi di formazione continuoi, che farebbero insorgere una ferma limitata a un anno, che sembra essere insufficiente.
E poi ci sono i giovani: pochi e sempre meno, il nostro Esercito è anagraficamente vecchio, ma l'età dei soldati attempati non è ancora quella necessaria per pensionarli. Per questo dovrebbero trovare altri impieghi, come nella pubblica amministrazione, che sta giustamente assumendo giovani per svecchiarsi essa stessa.
L'unica possibilità per l'Italia sarebbe istituire, oltre alla leva, una riserva addestrata che sia disponibile con continuità e possa essere mobilitata in caso d'emergenza. Ma esiste un problema culturale: secondo i rapporti del Censis, gli italiani disposti ad arruolarsi e a combattere sono poco più del 15% del totale di quelli in età idonea.
Per tornare a una realtà sicura, forse è meglio lavorare per la pace e tornare a scambiare prodotti con la Russia indipendentemente dalle posizioni di Londra, Parigi e Bruxelles.