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La giustizia ha parlato: Cedacri si salva dal Golden Power. Ma il governo non è troppo deluso.
Ieri la sentenza del Consiglio di Stato ha annullato il decreto Golden Power imposto al 2023 sul Cedacri, società emiliana che serve da snodo centrale per l'infrastruttura informatica bancaria. Un capitolo chiuso, ma non solo perché la sentenza chiude una questione aperta, ma anche perché il governo non si trova qui in pugna con la logica politica.
In effetti, nel 2023 Cedacri aveva varato un prestito obbligazionario convertibile, garantito da un'estensione dei pegni sulle sue azioni stesse. Ecco dove entra in gioco il Golden Power. Il governo, forte della revisione della normativa con il dl Energia del 2022, aveva letto nel rischio di indebolimento della stabilità proprietaria di un asset strategico.
Così era entrato in azione il Golden Power: non solo monitorare l'operazione, ma anche impostare che i proventi del bond venissero destinati agli investimenti e non alla remunerazione degli azionisti. Una misura per evitare che la leva usata per l'acquisizione e la nuova emissione potessero tradursi in indebolimento della struttura patrimoniale o passaggio di mano.
L'obiettivo era mantenere Cedacri saldamente in un perimetro nazionale, custode delle tecnologie e dati critici per il settore finanziario.
Ma il Consiglio di Stato ha ribaltato questa impostazione. In effetti i giudici hanno stabilito che la convenzione di pegno era costruita in modo da escludere "qualsiasi trasferimento di diritti di voto, amministrativi o economici ai creditori pignoratizi fino al verificarsi di un inadempimento".
Un annullamento della sentenza del Tar nasce dal fatto che solo in caso di escussione del pegno si sarebbe potuto verificare un cambio di controllo a cui il governo avrebbe potuto opporsi tramite il Golden Power. In sintesi, l'esecutivo ha perduto la sua stella.
L'annullamento della sentenza circoscrive, quindi, il perimetro della legge: occorrono effetti immediati e concreti sulla governance. Ma non sminuisce le preoccupazioni del governo che considerava anche il rischio sistemico, azione politicamente comprensibile.
Ieri la sentenza del Consiglio di Stato ha annullato il decreto Golden Power imposto al 2023 sul Cedacri, società emiliana che serve da snodo centrale per l'infrastruttura informatica bancaria. Un capitolo chiuso, ma non solo perché la sentenza chiude una questione aperta, ma anche perché il governo non si trova qui in pugna con la logica politica.
In effetti, nel 2023 Cedacri aveva varato un prestito obbligazionario convertibile, garantito da un'estensione dei pegni sulle sue azioni stesse. Ecco dove entra in gioco il Golden Power. Il governo, forte della revisione della normativa con il dl Energia del 2022, aveva letto nel rischio di indebolimento della stabilità proprietaria di un asset strategico.
Così era entrato in azione il Golden Power: non solo monitorare l'operazione, ma anche impostare che i proventi del bond venissero destinati agli investimenti e non alla remunerazione degli azionisti. Una misura per evitare che la leva usata per l'acquisizione e la nuova emissione potessero tradursi in indebolimento della struttura patrimoniale o passaggio di mano.
L'obiettivo era mantenere Cedacri saldamente in un perimetro nazionale, custode delle tecnologie e dati critici per il settore finanziario.
Ma il Consiglio di Stato ha ribaltato questa impostazione. In effetti i giudici hanno stabilito che la convenzione di pegno era costruita in modo da escludere "qualsiasi trasferimento di diritti di voto, amministrativi o economici ai creditori pignoratizi fino al verificarsi di un inadempimento".
Un annullamento della sentenza del Tar nasce dal fatto che solo in caso di escussione del pegno si sarebbe potuto verificare un cambio di controllo a cui il governo avrebbe potuto opporsi tramite il Golden Power. In sintesi, l'esecutivo ha perduto la sua stella.
L'annullamento della sentenza circoscrive, quindi, il perimetro della legge: occorrono effetti immediati e concreti sulla governance. Ma non sminuisce le preoccupazioni del governo che considerava anche il rischio sistemico, azione politicamente comprensibile.