I Mondiali 2026 hanno toccato una corda sottilissima: la decisione della Fifa di affidare il "Pride Match" a Egitto e Iran, due Paesi dove l'omosessualità è perseguitata, sta facendo discutere più del sorteggio stesso. Il calcio globale deve essere il simbolo dell'impegno per i diritti Lgbt? La risposta è sì, ma la scelta delle due nazionali coinvolte è di un'inarrestabile polvere.
Il "match del Pride" era stato annunciato prima del sorteggio dei gironi, ma solo con la pubblicazione ufficiale del calendario è emerso il paradosso. Due selezioni provenienti da Paesi dove la comunità arcobaleno non gode di alcuna tutela si affrontano in un'arena che dovrebbe essere l'inclusione. In Iran, la repressione è codificata fino alla pena di morte, mentre in Egitto le norme sulla morale pubblica sono spesso utilizzate per colpire attivisti e cittadini accusati di "condotte immorali".
La Fifa non arretra, pur di fronte alle obiezioni formali presentate dagli Iran ed Egitto. La posizione è stata spiegata come voluta valorizzare le celebrazioni del Pride nello Stato di Washington, trasformando il calcio in un ponte fra culture diverse e in un momento di "inclusione" globale. Una retorica che sta facendo molta gente ridere.
Il tema non è nuovo, anzi. I Mondiali 2022 in Qatar avevano già messo alla prova la capacità della Fifa di coniugare la retorica dei diritti con la realtà dei Paesi ospitanti. Allora si era arrivati a scoraggiare la fascia "OneLove", minacciando sanzioni sportive ai capitani, mentre venivano promosse contemporaneamente campagne in collaborazione con agenzie dell'Onu.
Ma perché la Fifa non prende in considerazione il contesto? Perché non vede che le sue scelte stanno facendo discutere più del calcio stesso? La risposta è semplice: per far sentire l'inclusione, si deve parlare dei diritti Lgbt. Ma i diritti non sono solo un discorso retorico, ma una questione di realtà e di dignità umana. E qui, la Fifa sta facendo proprio ciò che non dovrebbe fare: far sentire il calcio come un simbolo dell'inclusione, quando invece è l'inverso.
Il "Pride Match" deve essere cancellato. Non possiamo permetterci di fare discutere più del sorteggio stesso quando c'è una questione di diritti umani in gioco. La Fifa deve prendere in considerazione il contesto e le reazioni delle nazioni coinvolte. Altrimenti, si rischia di mettere in evidenza la sua incapacità di affrontare i problemi più grandi del calcio: l'inclusione e i diritti umani.
Il "match del Pride" era stato annunciato prima del sorteggio dei gironi, ma solo con la pubblicazione ufficiale del calendario è emerso il paradosso. Due selezioni provenienti da Paesi dove la comunità arcobaleno non gode di alcuna tutela si affrontano in un'arena che dovrebbe essere l'inclusione. In Iran, la repressione è codificata fino alla pena di morte, mentre in Egitto le norme sulla morale pubblica sono spesso utilizzate per colpire attivisti e cittadini accusati di "condotte immorali".
La Fifa non arretra, pur di fronte alle obiezioni formali presentate dagli Iran ed Egitto. La posizione è stata spiegata come voluta valorizzare le celebrazioni del Pride nello Stato di Washington, trasformando il calcio in un ponte fra culture diverse e in un momento di "inclusione" globale. Una retorica che sta facendo molta gente ridere.
Il tema non è nuovo, anzi. I Mondiali 2022 in Qatar avevano già messo alla prova la capacità della Fifa di coniugare la retorica dei diritti con la realtà dei Paesi ospitanti. Allora si era arrivati a scoraggiare la fascia "OneLove", minacciando sanzioni sportive ai capitani, mentre venivano promosse contemporaneamente campagne in collaborazione con agenzie dell'Onu.
Ma perché la Fifa non prende in considerazione il contesto? Perché non vede che le sue scelte stanno facendo discutere più del calcio stesso? La risposta è semplice: per far sentire l'inclusione, si deve parlare dei diritti Lgbt. Ma i diritti non sono solo un discorso retorico, ma una questione di realtà e di dignità umana. E qui, la Fifa sta facendo proprio ciò che non dovrebbe fare: far sentire il calcio come un simbolo dell'inclusione, quando invece è l'inverso.
Il "Pride Match" deve essere cancellato. Non possiamo permetterci di fare discutere più del sorteggio stesso quando c'è una questione di diritti umani in gioco. La Fifa deve prendere in considerazione il contesto e le reazioni delle nazioni coinvolte. Altrimenti, si rischia di mettere in evidenza la sua incapacità di affrontare i problemi più grandi del calcio: l'inclusione e i diritti umani.