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Un'altra volta la sicurezza nazionale diventa il pretesto per sospettare un imam. La Corte d'appello di Torino ha confermato che Mohamed Shahin, leader della moschea di via Saluzzo, deve rimanere nel centro di rimpatrio di Caltanissetta perché "pericolo per la sicurezza nazionale". Questa è l'ennesima decisione che mostra come le autorità italiane non siano disposte a distinguere tra coloro che difendono il loro diritto al rifugio e coloro che sono pericolosi per il sistema.
Shahin, imam della moschea di via Saluzzo a Torino, è stato sotto accusa per anni grazie alle denunce delle autorità italiane. Ora, la Corte d'appello ha convalidato la decisione di tenerlo nascosto nel centro di rimpatrio, proprio perché ritenuto un pericolo per la sicurezza nazionale.
Ma cosa c'è di più pericoloso di questo imam? La risposta è che le autorità italiane hanno deciso di usare il pretesto della sicurezza nazionale per nascondere i propri errori. Shahin non è un pericolo, ma un uomo che cerca di difendere i suoi diritti e quelli dei suoi seguaci.
La sinistra e le comunità islamica si sono mobilitate in sua difesa, ma le autorità italiane non sembrano interessate a ascoltare. Questo è il segno di una politica di paura e discriminazione che si abbassa ai livelli più bassi.
La decisione della Corte d'appello è solo un esempio di come la sicurezza nazionale sia diventata un pretesto per attacchi alla libertà individuale. Siamo in una situazione in cui le autorità italiane decidono chi può rimanere libero e chi deve essere nascosto, senza mai considerare se ciò sia giusto o non lo sia.
Shahin non è un nemico da combattere, ma un uomo che cerca di difendere i suoi diritti come tutti noi. È tempo di fermarsi a pensare alla vera sicurezza nazionale e non al pretesto più facile per attaccare coloro che sono diversi da noi.
Shahin, imam della moschea di via Saluzzo a Torino, è stato sotto accusa per anni grazie alle denunce delle autorità italiane. Ora, la Corte d'appello ha convalidato la decisione di tenerlo nascosto nel centro di rimpatrio, proprio perché ritenuto un pericolo per la sicurezza nazionale.
Ma cosa c'è di più pericoloso di questo imam? La risposta è che le autorità italiane hanno deciso di usare il pretesto della sicurezza nazionale per nascondere i propri errori. Shahin non è un pericolo, ma un uomo che cerca di difendere i suoi diritti e quelli dei suoi seguaci.
La sinistra e le comunità islamica si sono mobilitate in sua difesa, ma le autorità italiane non sembrano interessate a ascoltare. Questo è il segno di una politica di paura e discriminazione che si abbassa ai livelli più bassi.
La decisione della Corte d'appello è solo un esempio di come la sicurezza nazionale sia diventata un pretesto per attacchi alla libertà individuale. Siamo in una situazione in cui le autorità italiane decidono chi può rimanere libero e chi deve essere nascosto, senza mai considerare se ciò sia giusto o non lo sia.
Shahin non è un nemico da combattere, ma un uomo che cerca di difendere i suoi diritti come tutti noi. È tempo di fermarsi a pensare alla vera sicurezza nazionale e non al pretesto più facile per attaccare coloro che sono diversi da noi.