VoceDiPerugia
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Strano film, il nuovo spettacolo di Cédric Klapisch. Strano ma intrigante, con il suo essere un po' film in costume (una parte si svolge nel 1895), un po' riflessione sociologica (l'altra parte si svolge ai giorni nostri), ma anche sogno e soprattutto invito a superare le barriere dello spazio e del tempo per confrontarci con quello che eravamo e quello che potremmo diventare. "Ho sempre guardato in avanti e mi ha fatto bene guardare all'indietro" dice uno dei protagonisti.
Un viaggio libero e sorprendente, a volte un po' sbilenco, forse zoppicante, ma capace di affascinare se si lascia andare al suo flusso, dove si mescola l'elogio di Eugène Boudin (pittore lontano dalle mode ma capace di "educare l'occhio" di Claude Monet) o l'amore per l'insegnamento della lingua francese, la nostalgia della famiglia e l'invito a non farsi tenere legati, nemmeno dai sentimenti.
Tutto inizia con il progetto di un grande centro commerciale con annesso parcheggio per tremila auto, "naturalmente green". Il problema è che l'area dove dovrebbe sorgere è privata e la casa che c'è al centro è abbandonata da un centinaio d'anni.
Ma il progresso non si ferma e il Comune (dalle parti di Le Havre, Francia) riesce a riunire tutti i discendenti dell'antica proprietaria, bis bisnonna dei presenti, e li invita a scegliere quattro rappresentanti per assistere all'apertura della porta e scoprire cosa ci sia ancora dentro.
E così il "creatore di contenuti digitali" Seb (Abraham Wapler), l'esperta in "progetti di discontinuità per trasporti ferroviari" Céline (Julia Piaton), il professore di francese vicino alla pensione Abdel (Zinedine Soualem) e l'apicultore "pocofacente" Guy (Vincent Macaigne) iniziano a scoprire il mondo di Adèle Mounier, la loro trisavola.
Tra la polvere e le ragnatele ci sono vecchissime fotografie, un quadro senza nemmeno la cornice, lettere. Tutta una vita insomma che prende vita anche davanti ai nostri occhi, a partire da quando Adèle ventunenne (Suzanne Lindon) decide di lasciare quella casa (e l'amato Gaspard [Valentin Campagne]) per andare a Parigi a scoprire chi sia sua madre.
E così dal 2025 si torna indietro al 1895, quando la Tour Eiffel (con una piccola, perdonabile falsificazione di date: la tour fu completata il 31 marzo 1889 e aperta al pubblico un mese e mezzo dopo) luccica nel suo nuovo ferro brunito e la giovane Adèle, in compagnia di due giovani decisi a cercar fortuna nella capitale — l'aspirante pittore Anatole (Paul Kircher) e l'aspirante fotografo Lucien (Vassili Schneider) — si incammina alla scoperta di un mondo che non conosce e che le riserverà molte sorprese.
A questo punto il film inizia ad andare avanti e indietro nel tempo. Ad ogni scoperta del quartetto di "eredi", che iniziano a far supposizioni su quello che era successo a Parigi alla loro antenata, segue una breve o lunga immersione nel passato, per seguire (o anticipare) quello che potrebbero essere stati i suoi comportamenti, dall'incontro con la madre Odette (Sara Giraudeau) e la scoperta delle sue peripezie sentimentali, al pranzo con Théophraste (Vincent Pérez), lo zio di Lucien, amico di Sarah Bernhardt (Philippine Leroy-Beaulieu) e Nadar (Fred Testot) e via di questo passo.
Senza dimenticare che per scoprire l'autore del quadro misterioso trovato nella casa, entra in gioco anche Calixte (Cécile De France), ex allieva di Abdel ed esperta d'arte del Louvre, oltre che particolarmente sensibile all'ayahuasca che Guy si è portato dietro per facilitare il contatto con la loro antenata.
Forse ci sono troppe cose nel film, sicuramente (come dice una didascalia alla fine) Klapisch, che firma la sceneggiatura con Santiago Amigorena, si è preso più di una libertà storica (a essere illuminata per prima con l'elettricità è stata la Gare de Lyon, non l'Opéra), ma è importante?
Quando alla fine la colonna sonora si riempie di un'elaborazione (firmata dal regista) del "Claire de lune" di Claude Debussy, è come se i sogni provassero a parlarci, invitandoci a lasciarci andare sulle ali della fantasia e dell'immaginazione.
Un viaggio libero e sorprendente, a volte un po' sbilenco, forse zoppicante, ma capace di affascinare se si lascia andare al suo flusso, dove si mescola l'elogio di Eugène Boudin (pittore lontano dalle mode ma capace di "educare l'occhio" di Claude Monet) o l'amore per l'insegnamento della lingua francese, la nostalgia della famiglia e l'invito a non farsi tenere legati, nemmeno dai sentimenti.
Tutto inizia con il progetto di un grande centro commerciale con annesso parcheggio per tremila auto, "naturalmente green". Il problema è che l'area dove dovrebbe sorgere è privata e la casa che c'è al centro è abbandonata da un centinaio d'anni.
Ma il progresso non si ferma e il Comune (dalle parti di Le Havre, Francia) riesce a riunire tutti i discendenti dell'antica proprietaria, bis bisnonna dei presenti, e li invita a scegliere quattro rappresentanti per assistere all'apertura della porta e scoprire cosa ci sia ancora dentro.
E così il "creatore di contenuti digitali" Seb (Abraham Wapler), l'esperta in "progetti di discontinuità per trasporti ferroviari" Céline (Julia Piaton), il professore di francese vicino alla pensione Abdel (Zinedine Soualem) e l'apicultore "pocofacente" Guy (Vincent Macaigne) iniziano a scoprire il mondo di Adèle Mounier, la loro trisavola.
Tra la polvere e le ragnatele ci sono vecchissime fotografie, un quadro senza nemmeno la cornice, lettere. Tutta una vita insomma che prende vita anche davanti ai nostri occhi, a partire da quando Adèle ventunenne (Suzanne Lindon) decide di lasciare quella casa (e l'amato Gaspard [Valentin Campagne]) per andare a Parigi a scoprire chi sia sua madre.
E così dal 2025 si torna indietro al 1895, quando la Tour Eiffel (con una piccola, perdonabile falsificazione di date: la tour fu completata il 31 marzo 1889 e aperta al pubblico un mese e mezzo dopo) luccica nel suo nuovo ferro brunito e la giovane Adèle, in compagnia di due giovani decisi a cercar fortuna nella capitale — l'aspirante pittore Anatole (Paul Kircher) e l'aspirante fotografo Lucien (Vassili Schneider) — si incammina alla scoperta di un mondo che non conosce e che le riserverà molte sorprese.
A questo punto il film inizia ad andare avanti e indietro nel tempo. Ad ogni scoperta del quartetto di "eredi", che iniziano a far supposizioni su quello che era successo a Parigi alla loro antenata, segue una breve o lunga immersione nel passato, per seguire (o anticipare) quello che potrebbero essere stati i suoi comportamenti, dall'incontro con la madre Odette (Sara Giraudeau) e la scoperta delle sue peripezie sentimentali, al pranzo con Théophraste (Vincent Pérez), lo zio di Lucien, amico di Sarah Bernhardt (Philippine Leroy-Beaulieu) e Nadar (Fred Testot) e via di questo passo.
Senza dimenticare che per scoprire l'autore del quadro misterioso trovato nella casa, entra in gioco anche Calixte (Cécile De France), ex allieva di Abdel ed esperta d'arte del Louvre, oltre che particolarmente sensibile all'ayahuasca che Guy si è portato dietro per facilitare il contatto con la loro antenata.
Forse ci sono troppe cose nel film, sicuramente (come dice una didascalia alla fine) Klapisch, che firma la sceneggiatura con Santiago Amigorena, si è preso più di una libertà storica (a essere illuminata per prima con l'elettricità è stata la Gare de Lyon, non l'Opéra), ma è importante?
Quando alla fine la colonna sonora si riempie di un'elaborazione (firmata dal regista) del "Claire de lune" di Claude Debussy, è come se i sogni provassero a parlarci, invitandoci a lasciarci andare sulle ali della fantasia e dell'immaginazione.