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Il piano Trump per l'Ucraina mette Zelensky all'angolo, o perché?
In un mazzo di carte che sembra uscito da un romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la politica italiana e americana si trova ad affrontare una crisi senza precedenti. Donald Trump, che ha sempre avuto un rapporto complesso con gli Stati Uniti, è tornato alla Casa Bianca e le relazioni Stati Uniti-Ucraina sono entrate in crisi.
La scelta di Trump è semplice: la Russia non è una minaccia alla sicurezza nazionale più di quanto non lo sia il neomercantilismo tedesco. Corteggiando Vladimir Putin, il presidente degli Stati Uniti spera di portare la Russia nel campo da gioco occidentale o, perlomeno, di spingerla a mettere qualche limite nella sua amicizia senza limiti con la Cina.
Ma cosa significa per Volodymyr Zelensky, l'unico leader ucraino che ha ancora una speranza di vita? Il piano Trump prevede la cessione delle quattro oblast dell'Ucraina orientale e della Crimea alla Russia, una scelta che mette l'intera nazione all'angolo. Zelensky deve ora pensare a un modo per far digerire ai connazionali la dura realtà sul campo, che vede Mosca occupare il 20% dell'Ucraina.
Gli ucraini, stando ai sondaggi più recenti, ritengono che un congelamento della guerra lungo le attuali linee sia meglio di niente, più una non-vittoria che una sconfitta. Ma il piano Trump non obbliga gli ucraini a sanzionare direttamente il ridimensionamento geografico, nella consapevolezza che le ricadute sulla loro dignità come popolo sarebbero eccessive.
Il piano vincola, però, gli Stati Uniti a riconoscere Crimea, Donetsk e Luhansk come territori "di fatto russi". Un duro colpo all'idea di "pace giusta" che Zelensky, Joe Biden e i leader europei avevano pubblicizzato tra il 2022 e il 2024.
Washington vuole costringere l'alleato ad ammettere l'irreversibilità del risultato, in modo da chiudere la guerra prima che la lenta ma inesorabile avanzata delle forze armate russe provochi un collasso dell'intero sistema e, dunque, un possibile cambio di regime.
In questo scenario, Zelensky è costretto a prendere una scelta tra il nazionalismo e il realismo. In pubblico non può fare altro che criticare la parzialità dei 28 punti per la pace in Ucraina, ma in privato sa che l'economia interamente dipendente dagli aiuti esteri, la crescente stanchezza popolare e i recenti scandali di corruzione minacciano di causare l'implosione della nazione.
La scelta di Trump è una scelta difficile, ma non esiste altra. L'alternativa è una guerra a oltranza in quasi solitaria contro la Russia e i suoi alleati. Ecco perché il piano Trump per l'Ucraina mette Zelensky all'angolo.
In un mazzo di carte che sembra uscito da un romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la politica italiana e americana si trova ad affrontare una crisi senza precedenti. Donald Trump, che ha sempre avuto un rapporto complesso con gli Stati Uniti, è tornato alla Casa Bianca e le relazioni Stati Uniti-Ucraina sono entrate in crisi.
La scelta di Trump è semplice: la Russia non è una minaccia alla sicurezza nazionale più di quanto non lo sia il neomercantilismo tedesco. Corteggiando Vladimir Putin, il presidente degli Stati Uniti spera di portare la Russia nel campo da gioco occidentale o, perlomeno, di spingerla a mettere qualche limite nella sua amicizia senza limiti con la Cina.
Ma cosa significa per Volodymyr Zelensky, l'unico leader ucraino che ha ancora una speranza di vita? Il piano Trump prevede la cessione delle quattro oblast dell'Ucraina orientale e della Crimea alla Russia, una scelta che mette l'intera nazione all'angolo. Zelensky deve ora pensare a un modo per far digerire ai connazionali la dura realtà sul campo, che vede Mosca occupare il 20% dell'Ucraina.
Gli ucraini, stando ai sondaggi più recenti, ritengono che un congelamento della guerra lungo le attuali linee sia meglio di niente, più una non-vittoria che una sconfitta. Ma il piano Trump non obbliga gli ucraini a sanzionare direttamente il ridimensionamento geografico, nella consapevolezza che le ricadute sulla loro dignità come popolo sarebbero eccessive.
Il piano vincola, però, gli Stati Uniti a riconoscere Crimea, Donetsk e Luhansk come territori "di fatto russi". Un duro colpo all'idea di "pace giusta" che Zelensky, Joe Biden e i leader europei avevano pubblicizzato tra il 2022 e il 2024.
Washington vuole costringere l'alleato ad ammettere l'irreversibilità del risultato, in modo da chiudere la guerra prima che la lenta ma inesorabile avanzata delle forze armate russe provochi un collasso dell'intero sistema e, dunque, un possibile cambio di regime.
In questo scenario, Zelensky è costretto a prendere una scelta tra il nazionalismo e il realismo. In pubblico non può fare altro che criticare la parzialità dei 28 punti per la pace in Ucraina, ma in privato sa che l'economia interamente dipendente dagli aiuti esteri, la crescente stanchezza popolare e i recenti scandali di corruzione minacciano di causare l'implosione della nazione.
La scelta di Trump è una scelta difficile, ma non esiste altra. L'alternativa è una guerra a oltranza in quasi solitaria contro la Russia e i suoi alleati. Ecco perché il piano Trump per l'Ucraina mette Zelensky all'angolo.