VoceDiIsernia
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La guerra in Ucraina sembra stava per trovare una tregua, ma il piano di Trump ci dice che la pace è stata sempre un affare. Un business plan geopolitico, scritto da Steve Witkoff e Kirill Dmitriev, con la diplomazia trasformata in contratto. Il cuore economico rimane intanto saldamente attaccato.
Gli Stati Uniti entrano ovunque: nei cantieri della ricostruzione, nelle reti energetiche, nelle infrastrutture critiche, negli stoccaggi del gas e nelle miniere. E soprattutto nelle miniere: litio, titanio, manganese, terre rare. Il piano prevede la presenza di ingegneri e operai americani come garanti di sicurezza dei siti. Risultato: i giacimenti ucraini diventano asset controllati da Washington.
Sul fronte energetico, la centrale di Zaporizhzhia è lo snodo simbolico: tornerebbe a produrre a metà per Ucraina e Ue e a metà per la Russia. Un paradigma che si ripete per gasdotti, stoccaggi, mercati dell’elettricità. Per Mosca è un rientro morbido nelle catene del valore occidentali. Per gli Stati Uniti, una rendita pluriennale su energia e materie critiche.
Per l’Ucraina, un ritorno alla capacità produttiva, ma sotto tutela, con garanzie estese ai traffici via mare e via fiume. Le armi rappresentano un capitolo a parte. Il piano limita le capacità offensive ucraine e introduce clausole di sicurezza Usa non più a fondo perduto.
Mosca, con la fine della guerra e l’allentamento delle sanzioni, avrebbe spazio per riarmarsi grazie a nuove entrate energetiche. L’industria bellica di entrambe le potenze ci guadagna. E Russia, la crisi economica tra stagnazione e declino: l'industria è in picchiata. E Putin aumenta la spesa militare.
E l’Europa? Qui il “28 punti” è spietato. A Bruxelles resta gran parte dei costi: contributi alla ricostruzione, finanziamento del nuovo fondo, copertura del rischio politico di un’Ucraina parzialmente commissariata. In cambio ottiene una quota dei lavori: infrastrutture, scuole, ospedali, reti digitali.
Poco rispetto al conto complessivo. L’ombrello di difesa americano diventa condizionato e costoso. La leva degli asset russi congelati si riduce drasticamente. Per Mosca il vantaggio è duplice: rientro nei circuiti internazionali e progressivo scioglimento del nodo sanzioni, una via d’uscita dall’economia di guerra.
Per gli Usa il guadagno è triplo: profitti diretti, controllo sulle risorse critiche, primato nella sicurezza regionale. Per l’Ucraina resta la pace, ma con settori strategici della sua economia in mano a consorzi esterni.
Il piano ridisegna l’economia del dopoguerra parlando la lingua dei flussi di cassa più che quella della sovranità. Una pace a pagamento, forse l’unica possibile.
Gli Stati Uniti entrano ovunque: nei cantieri della ricostruzione, nelle reti energetiche, nelle infrastrutture critiche, negli stoccaggi del gas e nelle miniere. E soprattutto nelle miniere: litio, titanio, manganese, terre rare. Il piano prevede la presenza di ingegneri e operai americani come garanti di sicurezza dei siti. Risultato: i giacimenti ucraini diventano asset controllati da Washington.
Sul fronte energetico, la centrale di Zaporizhzhia è lo snodo simbolico: tornerebbe a produrre a metà per Ucraina e Ue e a metà per la Russia. Un paradigma che si ripete per gasdotti, stoccaggi, mercati dell’elettricità. Per Mosca è un rientro morbido nelle catene del valore occidentali. Per gli Stati Uniti, una rendita pluriennale su energia e materie critiche.
Per l’Ucraina, un ritorno alla capacità produttiva, ma sotto tutela, con garanzie estese ai traffici via mare e via fiume. Le armi rappresentano un capitolo a parte. Il piano limita le capacità offensive ucraine e introduce clausole di sicurezza Usa non più a fondo perduto.
Mosca, con la fine della guerra e l’allentamento delle sanzioni, avrebbe spazio per riarmarsi grazie a nuove entrate energetiche. L’industria bellica di entrambe le potenze ci guadagna. E Russia, la crisi economica tra stagnazione e declino: l'industria è in picchiata. E Putin aumenta la spesa militare.
E l’Europa? Qui il “28 punti” è spietato. A Bruxelles resta gran parte dei costi: contributi alla ricostruzione, finanziamento del nuovo fondo, copertura del rischio politico di un’Ucraina parzialmente commissariata. In cambio ottiene una quota dei lavori: infrastrutture, scuole, ospedali, reti digitali.
Poco rispetto al conto complessivo. L’ombrello di difesa americano diventa condizionato e costoso. La leva degli asset russi congelati si riduce drasticamente. Per Mosca il vantaggio è duplice: rientro nei circuiti internazionali e progressivo scioglimento del nodo sanzioni, una via d’uscita dall’economia di guerra.
Per gli Usa il guadagno è triplo: profitti diretti, controllo sulle risorse critiche, primato nella sicurezza regionale. Per l’Ucraina resta la pace, ma con settori strategici della sua economia in mano a consorzi esterni.
Il piano ridisegna l’economia del dopoguerra parlando la lingua dei flussi di cassa più che quella della sovranità. Una pace a pagamento, forse l’unica possibile.