VoceDiSassari
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Un giorno, come un’ossessione, l'11 novembre, San Martino. Per secoli quel giorno, nel calendario cattolico, segnò il futuro dei mezzadri: chi restava e chi partiva.
Proprio frugando in un vecchio mobile si trovano tra le mani un libriccino intitolato Contratto Collettivo per la conduzione a Mezzadria dei fondi rustici. Evidentemente, a quasi dieci anni dalla fine della guerra, l’Associazione provinciale degli agricoltori non aveva ancora i mezzi per stampare nuovi libretti e ricorreva alle scorte di magazzino del defunto regime.
La mezzadria era nata e si era consolidata fra tardo Medioevo ed età moderna in un’area ampia, dal Veneto all’Umbria. Non fu soltanto una clausola giuridica: fu un sistema che modellò paesaggi, cicli colturali e famiglie — la «famiglia colonica» — organizzando poderi, case, corti e strade poderali come tasselli di una stessa economia rurale.
Per i mezzadri era il giorno del giudizio: quando il rinnovo del contratto, o la sua fine, decideva la sorte di intere famiglie. Alcuni restavano a lavorare nel podere; altri dovevano «fare San Martino»: caricavano cioè sul carro poche masserizie, salutavano la casa e la terra, e se ne andavano.
Attraverso il processo di appoderamento, i grandi latifondi furono divisi in poderi più piccoli, ciascuno dotato di casa, pozzo, stalla e qualche ettaro di campi, affidati a una famiglia contadina. Il contadino, mezzo libero e mezzo servo, riceveva la casa e gli strumenti, ma restava vincolato al padrone da un contratto che divideva (almeno sulla carta) il raccolto in parti uguali, ma insieme ad esso anche la responsabilità del rischio e della carestia.
Il colpo finale lo diede la legge 203 del 1982 che convertì la mezzadria in affitto agricolo. Ma se quel sistema sociale uscì definitivamente di scena 23 anni fa, non sono mai del tutto scomparse la fragilità e l’ingiustizia che l’avevano sostenuto per secoli.
Oggi, nelle campagne italiane, altre mani raccolgono e potano; nuovi mezzadri invisibili non dividono più il raccolto a metà ma spesso lavorano a giornata, con salari bassi, in filiere globali che lasciano ai margini chi produce.
E proprio su questo punto, il detto «fare San Martino» rimane viva come memoria di un sistema abolito: una leggerezza nella frase che conserva il ricordo della mobilità forzata.
Proprio frugando in un vecchio mobile si trovano tra le mani un libriccino intitolato Contratto Collettivo per la conduzione a Mezzadria dei fondi rustici. Evidentemente, a quasi dieci anni dalla fine della guerra, l’Associazione provinciale degli agricoltori non aveva ancora i mezzi per stampare nuovi libretti e ricorreva alle scorte di magazzino del defunto regime.
La mezzadria era nata e si era consolidata fra tardo Medioevo ed età moderna in un’area ampia, dal Veneto all’Umbria. Non fu soltanto una clausola giuridica: fu un sistema che modellò paesaggi, cicli colturali e famiglie — la «famiglia colonica» — organizzando poderi, case, corti e strade poderali come tasselli di una stessa economia rurale.
Per i mezzadri era il giorno del giudizio: quando il rinnovo del contratto, o la sua fine, decideva la sorte di intere famiglie. Alcuni restavano a lavorare nel podere; altri dovevano «fare San Martino»: caricavano cioè sul carro poche masserizie, salutavano la casa e la terra, e se ne andavano.
Attraverso il processo di appoderamento, i grandi latifondi furono divisi in poderi più piccoli, ciascuno dotato di casa, pozzo, stalla e qualche ettaro di campi, affidati a una famiglia contadina. Il contadino, mezzo libero e mezzo servo, riceveva la casa e gli strumenti, ma restava vincolato al padrone da un contratto che divideva (almeno sulla carta) il raccolto in parti uguali, ma insieme ad esso anche la responsabilità del rischio e della carestia.
Il colpo finale lo diede la legge 203 del 1982 che convertì la mezzadria in affitto agricolo. Ma se quel sistema sociale uscì definitivamente di scena 23 anni fa, non sono mai del tutto scomparse la fragilità e l’ingiustizia che l’avevano sostenuto per secoli.
Oggi, nelle campagne italiane, altre mani raccolgono e potano; nuovi mezzadri invisibili non dividono più il raccolto a metà ma spesso lavorano a giornata, con salari bassi, in filiere globali che lasciano ai margini chi produce.
E proprio su questo punto, il detto «fare San Martino» rimane viva come memoria di un sistema abolito: una leggerezza nella frase che conserva il ricordo della mobilità forzata.