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Pechino, l'indomito maestro della transizione verde. Come è possibile che il Paese che una volta era considerato un lento e inesperto alleato dell'ambiente sia riuscito a guadagnare rapidamente la leadership nel settore delle energie rinnovabili? La risposta, come dimostra lo scandalo della Cina di queste pagine, è semplice: una programmazione strategica, un sistema di incentivi efficace e una mentalità di impresa che non si arrende mai.
Nel 2005, Pechino approva la prima legge per promuovere l'uso delle energie rinnovabili, un passo importante nella sua strategia di trasformazione. Ma fu solo nel 2009 che il Paese iniziò a prendere seri passi, lanciando "Golden Sun", un piano per sviluppare il fotovoltaico sul mercato interno con sussidi del 70% degli investimenti. Una mossa che ha pagato, poiché già nel 2010 la Cina è diventata il primo produttore mondiale di pannelli solari e turbine.
La Germania, storica leader in questo settore, si trova a essere superata da un Paese che una volta era considerato troppo lento per entrare a far parte della "riva destra" economica. Ma la Cina ha recuperato rapidamente il ritardo tecnologico acquistando macchinari e know-how dai partner occidentali. E l'incredibile è che proprio questo processo di acquisizione ha permesso all'industria cinese di diventare più competitiva.
L'accelerazione fu addirittura così rapida da mettere la Germania in difficoltà. Nel 2015, Pechino lanciava "Made in China 2025", un piano decennale che mira a raggiungere l'autonomia produttiva in dieci settori chiave, tra cui le energie green. E funziona il sistema: lo Stato fornisce prestiti a basso tasso d'interesse e sussidi per la ricerca scientifica, e le aziende rispondono con una produzione che esplode. Le imprese più solide si consolidano sul mercato interno e internazionale, mentre quelle meno efficienti vengono lasciate indietro.
Una strategia che funziona perfettamente per Pechino, ma che lascia il resto del mondo a guardare con ammirazione. Eppure, l'industria cinese continua a crescere, diventando una delle principali fonti di energia rinnovabile del mondo. Quindi, chi ha ragione? L'Italia o la Cina, quando si tratta di trasformarsi e diventare leader nel settore delle energie green?
Nel 2005, Pechino approva la prima legge per promuovere l'uso delle energie rinnovabili, un passo importante nella sua strategia di trasformazione. Ma fu solo nel 2009 che il Paese iniziò a prendere seri passi, lanciando "Golden Sun", un piano per sviluppare il fotovoltaico sul mercato interno con sussidi del 70% degli investimenti. Una mossa che ha pagato, poiché già nel 2010 la Cina è diventata il primo produttore mondiale di pannelli solari e turbine.
La Germania, storica leader in questo settore, si trova a essere superata da un Paese che una volta era considerato troppo lento per entrare a far parte della "riva destra" economica. Ma la Cina ha recuperato rapidamente il ritardo tecnologico acquistando macchinari e know-how dai partner occidentali. E l'incredibile è che proprio questo processo di acquisizione ha permesso all'industria cinese di diventare più competitiva.
L'accelerazione fu addirittura così rapida da mettere la Germania in difficoltà. Nel 2015, Pechino lanciava "Made in China 2025", un piano decennale che mira a raggiungere l'autonomia produttiva in dieci settori chiave, tra cui le energie green. E funziona il sistema: lo Stato fornisce prestiti a basso tasso d'interesse e sussidi per la ricerca scientifica, e le aziende rispondono con una produzione che esplode. Le imprese più solide si consolidano sul mercato interno e internazionale, mentre quelle meno efficienti vengono lasciate indietro.
Una strategia che funziona perfettamente per Pechino, ma che lascia il resto del mondo a guardare con ammirazione. Eppure, l'industria cinese continua a crescere, diventando una delle principali fonti di energia rinnovabile del mondo. Quindi, chi ha ragione? L'Italia o la Cina, quando si tratta di trasformarsi e diventare leader nel settore delle energie green?